mercoledì 26 luglio 2017

La bellezza come esperienza

Cos'è il bello? E il gusto? Due concetti difficili da definire senza incorrere nella banalizzazione per semplificare, senza imbrigliarsi in spiegazioni complicate per conglierne tutta la complessità. Le due giornate di arts in management che ho progettato e condotto per In's Mercato a Venezia con il Laboratorio per il lavoro e la persona, intendevano approcciare e suggerire risposte ai due quesiti, attraverso un'esperienza il più possibile completa e complementare, in due momenti distinti di fruizione e pratica.  Il lavoro dell'artista, che da sempre si è misurato col concetto di bello, ci ha aiutato ed accompagnato idealmente. Ci siamo perciò immersi nell'arte moderna e contemporanea, avvantaggiati dal contesto scenografico della città e della laguna, che ha amplificato e suggerito ulteriori riflessioni alla nostra esperienza. Abbiamo poi approfondito e cercato di mettere in pratica, ciascuno con i propri strumenti, le osservazioni, i ragionamenti e le impressioni vissute. Sempre tenendo presente che la creatività è un atto sensibile, emozionale, istintivo, estetico e poetico, ma anche un atto volitivo e intellettuale e cioè di ricerca, studio, metodo, disciplina e intenzione.

Femme qui marche, bronzo di Alberto Giacometti del 1936; Joseph Cornell, Setting for a Fairy Tale, assemblaggio di diversi materiali su scatola di legno con vetro del 1942; dirimpetto a Cà Venier dei Leoni e Sulla spiaggia di Pablo Picasso, olio del 1937.

Il primo approccio è stato estetico; per certi versi controintuitivo e sconcertante. Ignorando con intenzionalità la cronologia storica, siamo partiti dall'esperienza critica delle avanguardie storiche, proprio dal punto in cui la mancanza di senso della rappresentazione del reale visibile ha spinto l'artista a cercare nuove real (interiori, soggettive, metafisiche,...) e a disfarsi a volte proprio di quel concetto di bello che strutturava e sorreggeva tutta la ricerca precedente. Sapendo osare il "bello liberato dal piacere che l'uomo procura all'uomo", ricercando una "bellezza ideale che (...) sia l'espressione dell'universo", come la definiva Guillaume Apollinaire rispetto l'esperienza cubista.

Vasilij Kandiskij, Verso l'alto, olio su tela del 1921; il giardino delle sculture del Guggenheim e la Boîte en-valise, assemblaggio di Marcel Duchamp del 1941

Le stanze del Guggenheim, dove la città entra e circola in un continum armonico d'epoche raro, ci hanno offerto camei di esperienze diverse e forti, a volte contrastanti, testimoni tuttavia di una stessa base costitutiva. Forma, colore, composizione. Tutta la storia dell'arte e dei suoi significati, le intenzioni, le poetiche e gli stili sono contenuti in ognuno di questi singoli elementi, insieme riflessioni e gesti, e nella loro relazione reciproca. Il salto a ritroso alle Gallerie dell'Accademia, l'immersione nella pittura veneta dal Medioevo al pieno Rinascimento, ce l'ha poi mostrato e svelato. Come? Come avvicinare Paolo Veneziano a Vasilij Kandiskij? Mentre ci diciamo "In alcun modo" e senza dubbio non c'è contatto esplicito tra i due artisti, cogliamo come la spiritualità e il lirismo indagati e sperimentati da Kandiskij sul colore, nè descrittivo nè oggettivo, e la stilizzazione verso una metafisica della forma, intercettano una dimensione spirituale dell'arte molto simile a quella che si trova esaltata nei polittici di Paolo Veneziano, nei sontuosi fondi a foglia d'oro, nell'uso simbolico del colore, la ripartizione scandita e senza profondità degli spazi, la fissità composta e incorporea dei santi. In un salto di sei secoli. Un esempio che coglie quanto nella storia dell'arte ci siano contatti e affinità, ritorni e cicli, come varianti e rotture allo stesso tema, sovversioni o citazioni, ma sempre ponendo al centro riflessioni e soluzioni sul suo nucleo: la forma, il colore, la composizione. I risultati (e intenti) sono evidentemente diversi, contrastanti, opposti, ma altre volte vicini, simili, dialogici. Un altro esempio, tra i tanti: la prospettiva dello spazio nel sogno di Sant'Orsola di Vittore Carpaccio non è forse rappresentazione mentale, omogenea e codificata, una costruzione simbolica, uno degli elementi di ricerca di un equilibrio formale che rimanda ad altre dimensioni (così come l'analizza Panofsky)? In altro modo, con altre forme e intenti, l'astrattismo del Novecento non ha forse aspirato alla composizione di un sistema unificato, coerente e armonico, pur negando o trasfigurando la rappresentazione di uno spazio reale?
 
Dipinti di scuola veneta nel nuovo allestimento nell'ala dell'ex-chiesa della Carità; Il sogno di sant'Orsola di Vittore Carpaccio, olio su tela del 1495; le Gallerie e un particolare del Polittico di santa Chiara di Paolo Veneziano, del 1350 circa.

In questo contesto si inserisce, si mescola e si confonde il concetto di bello. Ogni epoca ha stabilito le proprie regole, ha fissato i propri canoni. Ed è indubbio che il risultato si leghi profondamene ad un'epoca e a tutti i campi dell'esperienza umana perchè la storia dell'arte non è disgiunta dalla storia generale, da ogni aspetto che riguarda l'uomo, la socità in cui vive e i suoi legami e rapporti con essa. L'uomo ha cercato, a volte, definizioni universalmente applicabili. Ma, come dicevamo, il gusto non equivale alla bellezza, non sempre.

La ricerca del Novecento ci ha permesso di approcciare in modo diverso anche l'arte dei secoli precendenti. I contatti con le altre arti, le esperienze multisensioriali sperimentate e percorse dal secolo scorso hanno dato all'artista consapevolezze fino a quel momento neppure sospettate. Queste riflessioni, durante e in seguito alla nostra passeggiata nei musei e in città, ci hanno suggerito piste e fornito esempi per la seconda parte del workshop.

Insieme di Matchbox di Kaija, artista finlandese

Durante la seconda giornata, attraverso esperienze contemporanee sul concetto di scatola come contenitore simbolico, i partecipanti sono stati invitati a progettare e realizzare un proprio personale "contenitore del sè", partendo da una scatola neutra e per tutti uguale, con il solo limite di non varcarne i "confini". Scatola quindi intesa come spazio che contiene un mondo e rimanda, suggerisce, riassume o racconta altro. L'approccio poteva essere concettuale, simbolico, introspettivo, evocativo oppure narrativo, compilativo, descrittivo. Luogo riservato a pochi oggetti significanti o messa in scena narrante, ciascuno poteva decidere i mezzi a lui più vicini per rappresentarsi, per esprimere la propria identità e personalità, eventualmente la propria storia. Le riflessioni sulla forma, il colore, la composizione, sono state riprese e concretamente usate. I diversi materiali sono stati intesi non solo come ricerca estetica, istintiva o emotiva, ma volontà di creare attraverso le loro qualità sensoriali rimandi concettuali, legami con la poesia, la letteratura, la storia (personale o collettiva). E' così infatti che un materiale freddo e duro come una lama, ci procura una sensazione tattile e visiva assimilabile ad una cesura, un taglio, uno choc emotivo, uno spigolo vivo che ci rappresenta. Viceversa, un materiale morbido, soffice, piacevole al tatto, può riportarci ad un fatto o una caratteristica che ci descrive altrettanto piacevoli e positivi. Lo stesso vale per i colori e le forme.


Nell'ultima parte della giornata, i partecipanti sono stati invitati a presentare al gruppo la propria scatola; successivamente a lavorare insieme a una composizione che riunisse tutte le loro scatole. Nessun limite dato: mobile o fissocon scatole aperte o chiuse, con o senza interventi esterni, l'insieme doveva però rispondere ad un progetto collettivo condiviso. 

L'esperienza è stata quindi ricca e complessa. Ha dato spunti ed appunti per riflessioni intorno a un concetto -la bellezza- che in realtà ne riuniva, identificava e sviluppava altri. Ha spinto a mettersi in gioco, sperimentando mezzi inconsueti, costruendo concretamente legami tra oggetto visibile e pensiero, tra volontà e sensi, razionalità ed emotività.

Quali sono le considerazioni a margine di questa esperienza (ma che hanno strutturato l'intero intervento)? Anzitutto questa: la nostra capacità di cogliere dalla grande quantità di informazioni che riceviamo (visive anzitutto, ma non solo) ciò che è esteticamente armonioso, equilibrato, in grado di stimolare e poi appagare la nostra immaginazione, non è, o non solo, qualità innata. L'ambiente in cui si nasce e cresce ci può predisporre ad una sensibilità e a un esercizio mentale e visivo. Questi però si possono affinare. L'attenzione, la capacità critica a ciò che facciamo e a ciò che ci circonda si possono imparare, così come la cura e il tempo dedicato ad allenare il nostro occhio a scegliere. 


La passeggiata nei musei, nelle calli veneziane e in laguna, ci ha inoltre dato la possibilità di riconsiderare quanto generalmente l'arte sia stata compostamente raccolta negli spazi chiusi museali, in misura direttamente proporzionale all'indifferenza alla bellezza dei luoghi del vivere contemporaneo (urbano e domestico). Il museo è un luogo relativamente moderno e certo ci offre la possibilità di ammirare dal vero una grande quantità di opere d'arte racchiuse nello stesso edificio, possibilità altrimenti impossibile. Non dobbiamo però dimenticare che quelle stesse opere d'arte sono state concepite per altre destinazioni, luoghi, funzioni. Facevano parte dello scorrere naturale della vita, collettiva o individuale. Non c'è una soluzione a questo, e il museo ha il pregio della conservazione, protezione e fruizione democratica di quelle stesse opere. Eppure l'arte non sta solo nei musei (o in città restaurate come musei e quindi inerti). Abbiamo disimparato a considerarla come parte integrante del nostro quotidiano, alla stessa stregua di altri diritti. Abbiamo disimparato ad accorgerci della bellezza delle nostre città o, eventualmente, alla bruttezza che ci hanno spacciato per necessaria, dove funzionalità e progresso coinciderebbero con distruzione, depauperamento, appiattimento. Per la maggior parte decisioni di altri, prima di noi o più in alto di noi. Un bellissimo, illuminante saggio di Eugenio Turri sulla trasformazione del paesaggio contemporaneo, urbano e rurale (e che può facilmente estendersi all'interno, agli spazi del nostro abitare quotidiano) individua come priorità per l'uomo contemporaneo l'"educazione a vedere". Una capacità da imparare e sviluppare sempre più urgente, attenzione primaria che riunisce impegno architettonico e urbanistico e coscienza ecologica, ma anche il diritto/dovere alla memoria, testimonianza d'appartenenza e rispetto al lascito culturale, manifestazione del sentire degli artisti e dei poeti: la bellezza di un' armonia riconquistata tra ogni parte.

Sono convinta, infine, che nel nostro piccolo spazio quotidiano possiamo fare qualcosa, per noi stessi e per gli altri, affinchè la bellezza ci chiami e si imponga, con gesti e scelte quotidiani, piccole rivoluzioni silenziose e di per sè di poco conto, che contestano invece l'abbruttimento delle noste città e degli spazi in cui viviamo, gli oggetti che ci accompagnano. L'esperienza fatta in questi giorni l'ha dimostrato. E l'idea di un legame esclusivo tra bellezza e ricchezza va sminuito. Molte culture considerate modeste hanno sviluppato doti di sensibilità e pratica quotidiana della bellezza legate alla semplicità, pragmaticità e legame con l'ambiente che non esistono in altre culture più sofisticate e colte. Nella cultura popolare e contadina, per esempio, gli oggetti d'uso quotidiano, le abitazioni, il paesaggio agricolo, rispondono ad esigenze basilari e concrete, ma rivelano la capacità di inserire l'intervento artificiale dell'uomo, il suo lavoro e la vita, in un contesto naturale e in armonia con esso. Parlano inoltre della valorizzazione dei materiali, della sensibilità a cogliere la loro intrinseca bellezza, dello studio della forma semplice, funzionale e armonica negli oggetti e negli ambienti vissuti. "Una catasta di legno, se ben fatta, ben allineata, ben in squadra, se non cade, è bella" diceva Mario Rigoni Stern a Marco Paolini che lo intervistava nel 1999 per la regia di Carlo Mazzacurati, e rimando come suggestione, non solo visiva, a quello scambio (qui un'interessante lettura su questo passaggio).

In questo contesto l'artista possiede un ruolo privilegiato, qualsiasi siano i mezzi per esprimere l'urgenza alla riappropriazione della bellezza. Andreij Tarkovskij considerava la sua arte una missione, un dovere. Quello di "far sì che l'uomo avverta in sè l'esigenza di amare, di donare il proprio amore, che senta il richiamo della bellezza nel vedere i miei film", affermava. Anche in Dostoevskij la profezia "La bellezza salverà il mondo" include un valore morale, etico, umano. Quella stessa bellezza, materializzata nella Lattaia di Vermeer, che Wislawa Szymborska ci suggerisce col sussurro veemente della poesia come via d'uscita e di riscatto per l'uomo contemporaneo.
  
     “Finché quella donna del Rijksmuseum
      nel silenzio dipinto e in raccoglimento
      giorno dopo giorno versa
      il latte dalla brocca nella scodella,
      il Mondo non merita
      la fine del mondo”.


Qui di seguito alcuni dei libri che hanno strutturato il mio intervento a Venezia, che mi hanno suggerito in modo più o meno visibile la rotta da seguire, spesso poco lineare, e comunque non scontata, per giungere in porto:

GUILLAUME APOLLINAIRE, I pittori cubisti, SE
GIULIO CARLO ARGAN, Storia dell'arte italiana, 3 vv., Sansoni
AA.VV., La cultura del Novecento, Mondadori
CHARLES BOULEAU, La geometria segreta dei pittori, Electa
MANLIO BRUSATIN, Storia dei colori, Einaudi
VASILIJ KANDISKIJ, Lo spirituale nell'arte, SE e Punto, linea, superficie, Adelphi
PAUL KLEE, Teoria della forma e della figurazione, Mimesis
ALBERTO GIACOMETTI, Scritti, Abscondita
ERNST HANS GOMBRICH, La storia dell'arte raccontata da E.H. Gombrich, Einaudi
ERWIN PANOFSKY, La prospettiva come forma simbolica, Feltrinelli
ROBERTO PEREGALLI, I luoghi e la polvere, Bompiani
EUGENIO TURRI, Il paesaggio come teatro, Marsilio
BRUNO ZEVI, Saper vedere l'architettura, Einaudi